Tutti i volti di DutyGorn:
“Ma non chiamatemi nuovo Warhol”
L’INTERVISTA. Abbiamo incontrato il giovane artista milanese che ama dipingere la sensualità femminile. Cresciuto a “pane e graffiti” viene spesso accostato dalla critica al guru della Pop art
di Alfredo Cristallo
A.C. “Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio”. DutyGorn è un animale metropolitano dalle sembianze raffinate di un moderno Dorian Gray: ma se il protagonista del romanzo di Oscar Wilde affida al quadro il segreto della giovinezza, il nostro pittore delega al pensiero di Gustav Klimt il criterio ideale per scoprire la natura delle sue opere. Volti di donna che prendono vita nelle tele del 32enne talento milanese rivelandone tutta la delicatezza del tocco, uno stile che dai graffiti suburbani l’ha catapultato nei circuiti internazionali più ambiti, dallo “Spazio Pontaccio” di Brera alle installazioni della “New York Biennale Art”. E fino al 25 gennaio le nuove creazioni di DG saranno in mostra alla “Combines XL Gallery” di via Montevideo a Milano, culla della sua instancabile e già vastissima produzione.
A.C. Da quando, “sbarbato” writer 14enne, frequentava l’Istituto grafico e, armato di bombolette, scorrazzava per la periferia in cerca di angoli da “imbrattare”. D.G. “A volte non mi rendo conto neanch’io di quanto abbia realizzato in questi 18 anni. Ai tempi della scuola, oltre a studiare (poco) e dipingere (parecchio) lavoravo pure, catalogavo vinili in quantità industriale per una casa discografica, una fatica immane! Però è stato un periodo di immenso divertimento, eravamo degli scalmanati…”.
A.C. Poi è arrivata la legge anti-graffitismo e vi siete dati una calmata. Per questo si è convertito alla pittura “seria”? D.G. “Ovviamente! No, scherzo, dopo il diploma sono andato a lavorare per una casa editrice che si occupava di Glamour, quindi fashion show, make-up, sempre volti femminili… Alla fine ci ho preso gusto”.
A.C. Non è Andy Warhol? La critica associa sovente DutyGorn al guru della Pop Art. D.G.“Allora… Lo considero un maestro, e figuriamoci. Ma diciamo che rendere esasperatamente mitologica la denuncia al consumismo ha finito per annacquarne il senso originario. Non amo l’ostentazione, al contrario di Warhol e del suo mondo”.
A.C. E Guido (il suo nome di battesimo) verso quali mondi è diretto? D.G.“L’obiettivo primario resta quello di vivere esclusivamente d’arte (al momento è impiegato in uno studio di grafica, ndr). Il futuro potrebbe riservarmi un’esperienza altrove, ma sarà una sorpresa. Einstein diceva che il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti…”.
Le prime mostre?
“Nel 2003, a Milano. Grazie a degli amici riesco a esporre in via Padova, da lì una personale al “Plastic” e il passaggio in un locale così frequentato mi ha dato grande visibilità”.
A.C. Le sue opere solleticano i palati fini dello “Spazio Pontaccio” di Brera, per cui sarà artista unico e permanente fino al 2011. In questi anni si muove tra Barcellona, Vienna, Zurigo, si specializza in originalissimi polittici e nel 2007 le accade qualcosa di inaspettato… D.G. “Ricevo una telefonata dalla redazione di Vogue, mi avevano scovato su MySpace. ‘Le interesserebbe dipingere un quadro che andrà sul nostro magazine nell’intervista a Michael Stipe dei R.E.M.?'”.
A.C. Un paio di stagioni più tardi, tra eventi, esibizioni dal vivo e commissioni di top-brand (Montblanc, Salone del Mobile, Marcel Wanders) approda alla “New York Biennale Art”, dove la scorsa estate hanno preso corpo alcune delle sue installazioni. D.G. “E si è avverato il sogno di un vecchio cuore di writer: dipingere una parete nel Bronx, nella hall of fame di Cope2, insieme al genio, il mio punto di riferimento”.